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Viggiano, la storia


 

Il paese sorse inizialmente a valle, a pochi Km dal castrum romano di Grumentum, di cui divenne pagus, e deriva, probabilmente, il suo nome dalla famiglia gentilizia romana Vibius o Vettius. Secondo altre fonti il nome deriva dal verbo greco ughiaino e sta ad indicare un luogo salubre idoneo per sostarvi. Nel 774 d. C. in un atto notarile di donazione compare per la prima volta codificato il nome Bianum (Viggiano). Con questo nome Viggiano entra nella storia, una storia nuova, tutta sua, svincolato dall'antica madre grumentina.

La iniziale posizione a valle venne abbandonata dopo la distruzione di Grumentum (878 d.C.) per sfuggire alle razzie dei Saraceni. Con la espulsione dei Musulmani da Bari (871), gli arabi si riversarono nei territori longobardi e penetrarono in Val d'Agri, ovunque portando morte e distruzione. . Diventata la Valle invivibile anche a causa dello straripamento dei fiumi la popolazione si mise al riparo fuggendo e spingendosi in nuclei verso le alture circostanti creando non pochi centri abitati ed incrementando quelli esistenti.
Molte famiglie trovarono scampo nei boschi e sulla montagna di Viggiano rifugiandosi presso monasteri esistenti o fondandone di nuovi. Con i lavoratori della terra, con i piccoli proprietari terrieri, con i soldati e le famiglie di coloni si rifugiarono sulle alture di Viggiano anche molti religiosi i quali portarono con se anche icone e statue di Madonne per non farle distruggere dalla furia iconoclastica dei saraceni. Molti di questi religiosi erano monaci italo-greci, basiliani, sfuggiti anch'essi alla furia distruttrice araba.





A partire dalla seconda metà del secolo IX fino al 1071, data della cacciata dei Bizantini ad opera del normanno Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, a Viggiano si ebbe una seconda colonizzazione bizantina con un afflusso imponente di monaci italo-greci. Il flusso di questi monaci verso la nostra valle era agevolato dal Principato longobardo di Benevento, di cui Viggiano faceva parte, per sviluppare economicamente e socialmente queste zone periferiche e quasi inaccessibili. Questi monaci infatti tagliavano e bruciavano la boscaglia, restauravano mura in rovine di oratori e chiese, ricavavano celle nella roccia, dissodavano terreni inaccessibili e trasformavano piccole concentrazioni rurali in insediamenti di contadini.




Mentre due - tre secoli prima gli eremiti delle Rupi Rosse si erano insediati in quei posti spinti solo da una vocazione ascetica e da un bisogno di sicurezza, queste nuove immigrazioni prendevano in considerazione vari fattori prima di insediarsi definitivamente in un luogo: anzitutto la possibilità di difesa, poi la tipologia del suolo, la collocazione, l'habitat da utilizzare, il clima, il carattere e la disponibilità della popolazione locale. Le presenze in grotta vanno sempre più aggiungendosi all'antica comunità di S. Nicola delle Rupi Rosse. I monaci si impegnano non solo nell'insegnamento della dottrina cristiana sviluppando il culto della Theotokos (Madre di Dio), ma anche a sfruttare meglio le risorse naturali, a meditare, ad apprendere i primi rudimenti dell'arte della musica introducendo il sambuchè, una riproduzione in piccolo di una lira, costruita con grande ingegno con canne di sambuco ed interiora di animali da pascolo come corde. Forse da queste esperienze religiose e musicali deriva la grande passione e lo sconfinato amore dei viggianesi per la Madonna e per la musica.




Oltre la vita contemplativa di preghiera e di salmodia, i monaci basiliani svolgono vita attiva. Si insediano su un territorio prescelto, si fissano alla terra e costituiscono una potenza economica di fronte alla quale il potere centrale, spesse volte, deve sottostare. L'influenza che questi monaci esercitano sulle popolazioni ed i rapporti che mantengono con le autorità locali di rito latino, grazie al prestigio acquisito, favoriscono la diffusione dei loro monasteri. Nelle loro figure carismatiche le popolazioni locali vedono uomini di virtù straordinarie, dotati di poteri quasi divini ed ad essi attribuiscono "prodigiose imprese" che hanno del soprannaturale. Questi monaci impossibilitati a provvedere da soli a tutti i lavori necessari per le colture e gli opifici intrapresi, ricorrono alla mano d'opera locale : in tal modo il monastero, spesso fortificato, diventa un punto di attrazione nel quale convergono le popolazioni più deboli sparse tra le valli e le montagne.




Dal XII secolo Viggiano passò sotto il dominio dei Normanni. Una nuova suddivisione dei feudi è riportata per la prima volta tra il 1154 ed il 1168, aggiornata nel 1239 nel Registro dei Baroni durante il regno di Federico II : in esso si parla di un Berengarius de Bizano come signore del paese il cui feudo apparteneva al Giustizierato di Basilicata Alla morte di Guglielmo II (1189), ultimo re Normanno, dopo un breve interregno, il trono passò nelle mani degli Svevi con Enrico IV ( 1194) che aveva sposata Costanza, figlia di Guglielmo II. Durante quegli anni le tre torri fortificate costruite dai Goti e dai Longobardi quali torri di avvistamento sulla parte più alta dell'abitato, vennero strutturate in un complesso unico, identificabile come castello. Con la sconfitta di Manfredi a Benevento ad opera di Carlo I d'Angiò, nel 1266, Viggiano passò agli Angioini e venne assegnata in feudo a Bernard de la Baume, parente di Carlo I e Giustiziere di Basilicata.




Dall'inizio del XIV sec. Viggiano è feudo di Giovanni Pipino, quindi di Roberto Sanseverino. Nel 1442 gli Aragonesi sconfissero definitivamente gli Angioini e conquistarono il regno di Napoli e Viggiano venne affidata in feudo a Giovanni Dentice la cui famiglia rimase padrona del paese fino al 1630. In questo periodo il paese conobbe momenti di prosperità risultando uno dei centri più popolosi della Val d'Agri. Sotto i Dentice, agli inizi del '500, fu edificata la cappella sul Sacro Monte, destinata ad accogliere la statua lignea della Madonna Nera, proprio nel luogo dove qualche secolo prima era stata ritrovata appunto l'icona. Nel 1560 furono edificate anche le chiese di S. Benedetto, S. Antonio Abate, S. Nicola. Nel 1594 venne edificata la Chiesa dedicata a San Pietro apostolo sul luogo della antica Chiesa Matrice.

Nel 1566, secondo il De Sangro, la statua della Madonna Nera fu portata per la prima volta in processione sul Monte. Nel 1630, dai Dentice il Feudo fu venduto a Giovanni Batista Sangro che nel 1638 ottenne il titolo di principe di Viggiano. Nel 1672 una carestia seguita nel 1673 da un disastroso terremoto riducono il paese in cattive condizioni. . Nel 1735 venne ricostruita la Chiesa di S. Maria del Monte, innalzata nel XIII° sec. e gravemente danneggiata dal terremoto del 1673. Durante il regno del re Carlo III, incoronato Re delle Due Sicilie nel 1734, vi fu una notevole crescita economica e culturale a Napoli : fu iniziata la costruzione della Reggia di Capodimonte, la costruzione dell'Albergo dei Poveri, fu inaugurato il Teatro dell'Opera S. Carlo, primo teatro dell'Opera in Italia, furono resi più funzionanti i teatri Fiorentini e Mercadante. Questa particolare attenzione per i teatri fece accrescere nel Regno l'attenzione verso la musica, che divenne occasione di guadagno per chi aveva inclinazione verso il canto e sapeva destreggiarsi con gli strumenti musicali.

I viggianesi sfruttarono subito l'occasione e sull'esempio dei compaesani zampognari che erano soliti annunciare il Natale nella capitale del regno con le novene dell'Immacolata e del Santo Natale, si organizzarono in gruppi formando orchestrine composte da almeno quattro elementi che suonavano l'arpa, il violino, il clarinetto e il flauto. Anche in Viggiano , l'8 febbraio 1799, fu piantato l'albero della libertà, e fu istituita la municipalità, che rappresentavano il simbolo della vittoria contro l'assolutismo di Ferdinando IV. Tra il 1820 ed il 1850 Viggiano vive un periodo di relativo benessere: si costruisce lungo il Corso Meridionale (attuale Via Marconi), lungo l'attuale Viale Vitt. Emanuele, si sviluppa il Pisciolo. Fioriscono le botteghe degli ebanisti e dei costruttori di strumenti musicali per assecondare sempre di più le esigenze artistiche dei molti suonatori.




In questo periodo, anche grazie alla valuta estera introdotta dai musicanti girovaghi, Viggiano godeva di una discreta situazione finanziaria ; la popolazione cresceva dai 5700 abitanti del 1805 ai 6634 del 1857. Già, proprio il 1857, anno fatale per Viggiano e per la Val d'Agri : nella notte tra il 16 ed il 17 dicembre un terribile terremoto scosse le viscere della terra valligiana. La prima scossa sussultoria si avvertì la sera del 16 dicembre alle ore 22,15 e durò 20 secondi. Dopo tre ore, in piena notte, alle ore 1,15, ne seguì un'altra più devastante ( X°- XI° grado della scala Mercalli) e di più lunga durata, oltre 30 secondi. In Val d'Agri vi furono 8423 morti , di cui 5000 a Montemurro, 2000 a Saponara, 900 a Viggiano.




Le abitazioni crollarono quasi tutte o risultarono gravemente danneggiate. Eppure vi furono alcuni preti che vollero vedere nel minor numero di morti viggianesi rispetto agli altri paesi un "Miracolo della Madonna", mentre il Racioppi con più realistico acume scrisse che il numero inferiore di morti lamentati da Viggiano rispetto a Montemurro e a Saponara era dovuto al fatto che "era stagione che un popolo di musicanti vagava migrato per lontane contrade, ed il molto popolo di agricoli solea, a governo della terra, albergare nei campi". Dei popolosi paesi della Val d'Agri rimaneva solo il ricordo.

Viggiano ha subito varie dominazioni, vari soprusi, varie calamità. Per le sue contrade hanno scorazzato Longobardi, Angioini, Aragonesi, Arabi, Ebrei, Borbonici, Napoleonici, Garibaldini, Briganti ecc.... Sul suo popolo si sono abbattuti i fulmini e le nefandezze degli uomini e della natura ( guerre, peste, fame, carestie, incendi, fucilazioni, terremoti, emigrazione ecc...). Alla fine comunque ha prevalso il carattere mite, laborioso e religioso dei suoi abitanti.

 

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